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Via la leva in Germania. Verso un’Europa senza coscrizione?

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– La coscrizione obbligatoria, intesa come arruolamento coatto di tutta la popolazione maschile, ha rappresentato a lungo uno dei capisaldi dello Stato Moderno. Introdotta su base sistematica con la Rivoluzione Francese e diffusa per l’Europa dal vento napoleonico si è via via consolidata fino a richiedere con i grandi conflitti mondiali del Novecento uno smisurato tributo di sangue. Nel corso del “secolo breve” la leva si è resa direttamente o indirettamente responsabile della morte di decine di milioni di persone. Dopo il ’45 l’Europa è stata benedetta da un’era di pace – interrotta, in modo drammatico, dalle sole guerre nei Balcani. Tuttavia nella maggior parte dei paesi il servizio militare obbligatorio è a lungo rimasto, spesso progressivamente affiancato da un servizio civile alternativo.


Nei fatti, più passava il tempo, meno la leva rispondeva a reali logiche di efficacia militare, più identificava invece la propria missione con il fatto di rappresentare una sorta di memento della supremazia dello Stato e della comunità sull’individuo. A questo scopo il servizio civile poteva servire altrettanto bene di quello militare, se non altro perché oltretutto accresceva e rafforzava a sinistra la base di consenso per l’istituto della coscrizione.

Fino agli anni ’80 erano pochi gli Stati europei liberi dalla leva – tra questi il Regno Unito che l’aveva abbandonata già nel 1960. Poi a partire dalla fine degli anni ’90 il cambiamento di trend. Ad uno ad uno i vari paesi cominciano ad abolire (più spesso a sospendere) le chiamate alle armi. Tra gli Stati più grandi è apripista la Francia che passa ad un esercito professionale nel 2001. La Spagna lo fa nel 2002; l’Italia all’inizio del 2005.
Manda in pensione la leva anche l’Europa dell’Est. Praga ad esempio lo fa nel 2004, mentre Varsavia nel 2008.

Il vero zoccolo duro rimanevano i paesi di lingua tedesca ed i paesi nordici. Tuttavia nel corso 2010 anche la Svezia capitola e proprio in questi giorni anche la Germania ha finalmente liberato la sua gioventù dalla servitù militare. In base alla grande riforma varata alla fine dell’anno scorso dall’ex-ministro Zu Guttenberg la naja terminerà nel luglio del 2011, ma già dal primo marzo di quest’anno nessuno può essere più trattenuto contro la propria volontà.

Per la svolta tedesca è stata per molti versi determinante la presenza nella coalizione di governo dei liberali della FDP che per molti anni hanno vigorosamente sostenuto il passaggio ad un esercito di volontari, contestando la coscrizione come “una profonda intrusione nei piani di vita e nella libertà dei giovani”.
Ad oggi, tolta l’area ex-sovietica, gli Stati europei che mantengono la leva sono l’Austria, la Danimarca, la Finlandia, la Grecia, la Svizzera e la Norvegia. Quest’ultima è peraltro l’unico paese che dibatte sull’opportunità di risolvere la disparità di genere in controtendenza, cioè nel senso dell’estensione del reclutamento obbligatorio alle donne.

Insomma, il rapporto numerico tra paesi con la leva e paesi senza la leva si è pressoché invertito in poco più che un decennio e ci sono speranze che altri Stati intraprendano nei prossimi anni la scelta di obsoletare l’arruolamento coatto.
Al cambiamento epocale al quale stiamo assistendo ha senz’altro contribuito l’alleggerimento della tensione politica in Europa seguito alla fine della guerra fredda e soprattutto la progressiva presa di coscienza dell’inefficienza degli eserciti di leva in termini di costi e di prestazioni.
Tuttavia evidentemente le classi politiche si sono anche trovate a prendere atto della crescente resistenza dei giovani nei confronti di un’istituzione così invasiva nelle scelte private di una persona.
All’interno di società avanzate, cominciava ad essere sempre più impopolare che ai ragazzi fosse richiesto di rinunciare ad un anno della propria esistenza e di sottomettersi ad un lavoro obbligatorio ed ad uno stile di vita non scelto. E l’evoluzione dell’equilibrio tra i sessi rendeva a sua volta sempre meno sostenibile la pretesa di perpetuare per via legale nei confronti dei cittadini maschi l’imposizione del ruolo tradizionale di protettore.

Tutto bene, quindi? No. Innanzitutto perché molti Stati – come è il caso dell’Italia – hanno messo la leva solamente “in sonno”, ma non l’hanno smantellata giuridicamente.
Ora, se è ragionevole prevedere che l’operatività degli eserciti professionali andrà sempre più a regime e che essi saranno considerati autosufficienti nella gestione di crisi di piccole e medie dimensioni, c’è da chiedersi quale potrebbe essere l’atteggiamento dei governi europei a fronte di un’emergenza militare su larga scala – se tornerebbero a considerare le giovani generazioni una risorsa spendibile in nome della sicurezza nazionale.
Per questa ragione è un errore considerare i positivi sviluppi di questi ultimi anni come un successo definitivo ed è necessario, invece, accrescere la generale consapevolezza delle implicazioni morali dell’arruolamento forzato.

In secondo luogo, in diversi paesi, un rischio abbastanza concreto è rappresentato dalle proposte di introduzione di un più politicamente corretto servizio civile obbligatorio.
In Italia è una posizione che riscontriamo ad esempio in alcuni settori del centro-sinistra, soprattutto in quelli più legati all’associazionismo che sarebbe evidentemente il primo beneficiario del lavoro coatto e sottopagato dei “servitori civili”.
E’ già del 2004 una proposta di legge in tal senso di Ermete Realacci, mentre negli ultimi anni la questione è stata sollevata a più riprese dal “teodem” Luigi Bobba.
Poi recentemente si è “distinto” su questo fronte anche Marco Zacchera del PDL che in  un’interrogazione del novembre scorso ha avanzato “l’ipotesi di obbligare tutti i cittadini, maschi e femmine, a dedicare un periodo della loro vita – ad esempio un semestre – a compiere un servizio a favore della comunità a loro scelta sia di carattere militare e/o civile anche come momento di crescita personale come membro della collettività nazionale”.

Infine merita gettare un attimo lo sguardo al di fuori dei confini di quell’oasi relativamente felice che è l’Europa (ex-URSS esclusa). La coscrizione è ancora applicata in circa la metà dei paesi del mondo ed in molti casi fa rima con pessime condizioni igieniche, malnutrizione, violenze ed umiliazioni. E’ il caso della Russia dove si contano circa 300 suicidi di ragazzi di leva ogni anno solo per il Dedovshchina, il tremendo codice di nonnismo in vigore nelle forze armate.
Secondo Gendercide Watch a livello mondiale “il conto delle vittime della coscrizione è probabilmente di decine di migliaia ogni anno, solo limitandosi alle atrocità ed agli abusi in tempo di pace (incluse le esecuzioni ufficiali o meno per reati militari)”.
Ma ancora peggio, naturalmente, è ritrovarsi ad essere coscritti nelle zone di conflitto, ritrovarsi nei panni di combattente nei tanti e spesso dimenticati teatri di guerra e guerriglia di questo pianeta.

In definitiva, sulla leva obbligatoria, in Europa e nel mondo, si gioca una partita fondamentale per i diritti umani e per la libertà individuale.


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